giovedì 15 febbraio 2018

Maggiorenne since 1975 - la politica

Pochi giorni fa ho compiuto ben 21 anni. Se fossi arrivata a questo giorno prima del 1975, sarei appena maggiorenne: peccato non aver mantenuto quella pratica, perché solo ora mi sento tale. 
Non dico questo solo perché sono arrivata ai 21 anni perfettamente sobria e felice, né perché forse solo ora riesco a parcheggiare senza graffiare la macchina. Parlo in questo modo perché solo ora riesco a comprendere molte sfaccettature della mia vita che non avevo visto finora; inoltre, per la prima volta in vita mia, mi sento spaesata nei confronti delle mie scelte, passate e future. 
Soprattutto guardando al passato, comprendo che tante cose che ho voluto provare, in realtà, non mi servivano o non mi piacevano. Per questo motivo, come regalo per il mio 21° compleanno, mi sono ripromessa di volermi bene, sotto ogni punto di vista. Ho iniziato (più o meno seriamente) a fare movimento, mi sono imposta di vestirmi elegante anche per andare al supermercato (e si, ne vale la pena: percorro le corsie di latte e cioccolata ancheggiando come una strafiga), ma soprattutto ho solennemente giurato a me stessa di non fare più le cose controvoglia. E cazzarola, questa è la promessa più difficile da mantenere.
Credo che sia insito in me una sorta di principio del dovere nei confronti di cose e persone, anche quando non richiesto. Se ho fatto la maratona di NY per prendere il bus numero 3 e ho anche trovato posto per sedermi e ventilarmi, non importa, appena vedo una nonnetta arcigna le lascio il posto - e le sorrido, anche se mi ha risposto Mi trova così vecchia?. Se mi chiamano alle 22 per dare ripetizioni ad una ragazza alle 15 del giorno dopo perché l'indomani ha una verifica, non importa, pranzo in 5 minuti e sono lì - sempre col sorriso. Se è il momento di distribuire le torte per l'autofinanziamento della parrocchia e la messa è alle 8 della domenica, ed ho un esame il lunedì alle 8, non importa, rinuncio alle mie ore di sonno per distribuire manicaretti ad attempate donzelle - sempre col sorriso.
Ma sento dentro di me che quel sorriso è parecchio falso, e prego il Signore di darmi un gradino in più al Purgatorio grazie al mio sacrificio per la comunità.
Nel mentre, aspettando la mia morte, posso iniziare a tramutare questi in sorrisi sinceri, e fare queste azioni con gioia e carità cristiana. Ma posso anche sbarazzarmi di tutti quei sorrisi, che sinceri non saranno mai - e me ne rendo conto già in partenza.
In primis, voglio sbarazzarmi della politica.
Ah, l'ho detto. Che liberazione.
Per fare un sunto delle puntate precedenti, circa un anno e passa fa mi sono avvicinata ad un partito politico. Non chiedete quale, si dice il peccato ma non il peccatore: era quello che in quel momento mi sembrava essere più vicino alle mie idee, nonché l'unico del quale avessi qualche contatto per entrare a sbirciare un po'. 
Non volevo, né voglio fare politica. Il mio obiettivo, banale e sincero, era quello di vedere come funziona, di capire se (quelli che pensavo essere) i mie valori fossero o meno compatibili con la loro idea di politica. Volevo stare nell'ombra, volevo comprendere, capire, imparare.
Ma, ahimé, ciò non è stato del tutto possibile. 
Ho compreso che la politica non fa affatto per me. 
Innanzitutto perché per ogni cosa devi mettere la faccia - anche per parlare con un tizio che fa il politico. Automaticamente parli/esci-con-X = sei-del-partito-di-X. Sinceramente, vorrei essere libera di parlare con chi mi pare e piace. E di non comparire sui giornali senza la mia autorizzazione, solo perché in quella foto c'ero anch'io.
Poi, non amo affatto quest'aria da "devi nascere imparato". Io non capisco nulla di politica. Lo urlo, lo scrivo sui muri, lo incido sulla pelle. Non capisco proprio nulla! Proprio per questo motivo mi sono avvicinata ad un partito, per capire come funziona. Ma credo di aver capito che devo trovare da sola gli aggiornamenti su Google, ed essere sempre sul pezzo qualsiasi cosa accada. 
In seguito, ho compreso che essere donna ed essere in politica senza essere Margaret Thatcher è come gettarsi nella vasca dei Piranha - e io non riesco ad essere così dura e tranchant. Sono una persona dolce, allegra, creativa: questo mondo, duro e calcolatore, mi distrugge.
Come mi distrugge l'assolutismo di ogni affermazione, la taglierina che perfeziona tutti i fogli della risma - e alla fine della zuppa sei a destra o sei a sinistra, sei retrogrado o sei anarchico, sei dentro o fuori. Penso di avere idee più conservatrici ed idee più liberali - ma se mi chiedete una definizione di liberale non so darvela, perché non ne ho la più pallida idea, ma sono felice così. 
Ma soprattutto, vado molto ad emozioni. E quando mi arrivava un impegno politico, o dovevo tornare a casa da uno di questi, mi sentivo stretta in una morsa, con una voglia incredibile di mandare a quel paese un sacco di persone, o meglio, di atteggiamenti.
Non mi piace questo mondo. Vi ho trovato persone molto carine, ho conosciuto personaggi illustri, mi sono divertita e ho riflettuto. Ma il mio bilancio rimane più negativo che positivo. Probabilmente sono ancora troppo giovane per valutare appieno quest'esperienza.
Ciò che posso fare ora è chiedermi se questo mio involontario espormi in materia politica possa incidere sul mio futuro. Se ne sentono di ogni, in merito a persone che non vengono accettate a lavoro per un qualche orientamento politico.
Beh, io non so di che orientamento sono.
In base a questo, spero di essere presa per ciò che sono e non per cosa ho provato da giovane. Dopo aver parlato con me. 
Credo si chiami libertà.

lunedì 12 febbraio 2018

In acqua sono nuda

Sono nata sotto il segno dei pesci, come la canzone. Ascendente cancro. Segno d'acqua. L'acqua è il mio elemento anche per colpa delle stelle. Sono pure astemia, bevo solo acqua. 
E solo in acqua accetto che il mio corpo pratichi sport. In effetti, fin da piccola ho preferito stare in acqua: allora, pensavo fosse colpa proprio di quel corpo che non mi piaceva affatto. Un'elefantessa, che riusciva a muoversi solo in assenza di gravità, che riusciva a galleggiare solo non sentendo il proprio peso che opprimeva il terreno. 
Oggi, acquisita un pizzico di autostima, ho rivalutato la cosa in altro modo. 
Sto bene in acqua, perché in acqua devo essere nuda. 
Un paradosso, per me che amo tanto i travestimenti. Per me, che amo tanto la tecnologia: l'acqua è la nemica per eccellenza. Per me, che amo tanto i capelli sistemati, i bei vestiti, il divano. 
Nuotare dovrebbe essere tutto ciò che odio, e invece mi attira a sé come le conchiglie sulla battigia: ci aggrappiamo invano alla sabbia, poi veniamo trascinate via dall'onda, risucchiate dalla forza dell'acqua.
In acqua sono nuda. Via il trucco. Via i vestiti. Via i gioielli, via persino l'orologio contapassi, che non si sa mai. 

Dopo tre anni, mi sono spogliata di nuovo: indosso solo un costume, simbolo della nostra società che non può sopportare una nudità totale - bisogna mantenere qualche maschera, qualche facciata. 
Ho fatto una doccia calda, e poi mi sono immersa nell'amorevole puzzo di cloro. 
Ricordavo l'acqua gelida, invece mi ha avvolto tra le sue morbide coperte. 
Ricordavo i miei muscoli pigri, invece sono diventati in un attimo scattanti.
Ricordavo il mio respiro affannato, invece ho ammirato con gioia le bolle intorno a me.
Ricordavo l'adrenalina. Per fortuna, quella non mi ha abbandonata.
In acqua sono nuda, non solo nel corpo. Il mio spirito si denuda: nelle prime due vasche mi sono concentrata sulla respirazione, sui movimenti un po' goffi ma fluidi come l'acqua che percuoto. Già dalla terza, la mente ha gettato via ogni preoccupazione: ho iniziato a pensare, finalmente senza limiti, e ho potuto ricordare e sognare e cantare nella mia mente e seppellire ogni dolore, a parte quella piccola morsa al petto che attanaglia l'animo quando si ricorda qualcosa di doloroso.
Soprattutto, ho potuto finalmente ricordare perché amavo nuotare. 
Ricordare anche perché ho smesso, sia ben chiaro: ritmi troppo serrati per me. Il tempo manca sempre quando si ha da studiare: per denudarsi, è necessario essere privi di impurità fisiche (leggi: ore di depilazione) e mentale (leggi: il ricordo della verifica del giorno dopo), e non potevo permettermelo. Senza parlare delle gare: non gareggio se non posso arrivare prima. E io arrivavo sempre ultima. Non faceva per me.
Ma amavo nuotare. Era un sogno, ero solo io nel mio elemento.
E ogni sogno è seguito da un altro.
Ed eccomi qui. A scrivere, finalmente.
In questi mesi ho valutato tanto cosa voglio fare della mia vita. Molte persone mi considerano una persona che sa ciò che vuole, e proprio io, così sicura di me e del domani, non so più chi sono e cosa voglio. Ho perso l'ispirazione, ho perso l'attrazione del foglio bianco, ho perso la bussola che indica sempre la direzione per l'avventura.
Il mio cuoco di fiducia mi riporta sempre coi piedi per terra, mi ricorda che i sogni non si mangiano, e bisogna valutare cosa sia realizzabile e cosa no. Ha completamente ragione.
Se continuo a sognare di scrivere, non scriverò mai. Devo mettermi davanti al foglio, ora e per sempre, e ridere alla vita. Devo spogliarmi.
Devo tuffarmi nel bianco e tingerlo di parole.

martedì 19 dicembre 2017

Una canzone sorridente

Spero che la mia lunga assenza non vi abbia tolto la voglia di leggere le mie parole. Come ben sapete, compenso con qualche articolo di giornale: QUI tutti i miei testi. Grazie per essere ancora qui.

Lo riconosco, quel sorriso.
È lo stesso che vedo sul mio volto, quando mi rifletto nel vetro polveroso di un autobus pieno di corpi stanchi. È il sorriso di chi sta ascoltando la canzone della vita. 
Puoi provare a fermarlo ma non ci riesci, affiora dagli abissi dell'anima sulle sue labbra socchiuse, e si mescola ad un lieve risolino. Ti fa sentire vivo, ti fa sentire amato.  È gioia allo stato puro, concentrata in un rantolo soffocato, è amore di provenienza divina.
Chissà cosa stavi ascoltando. Ci ho pensato per tutta la mattina, mentre provavo a studiare davanti al mio pc. Non ho trovato di meglio da fare, sarà colpa dell'aria natalizia che soffoca la città. Ho qualche ipotesi però.
La prima, più accreditata a causa della mia natura romantica, è anche la più scontata. Stavi pensando al tuo compagno di viaggio, di vita, di consuetudine: quella persona che ti aspetta, che va col cuore verso il tuo pensiero e col corpo dimora su questa terra. Stavi pensando proprio a Lui, a colui che ami anche se dimentica i calzini tra le lenzuola, dopo averli persi durante la notte, a forza di farti piedino. A Lui che ti supporta a modo suo, rifiutandosi di mentirti anche quando speri ardentemente che lo faccia, a Lui che ti ama di più quando sei in tuta e sempre a Lui, che quando ti parla fa scomparire ogni forma di odio che provi nei suoi confronti. 
E cosa ascolti? La vostra canzone, quella che è partita mentre vi stavate baciando? Oppure una canzone che ricordi vagamente, perché la sera del vostro terzo appuntamento avevate bevuto un po' troppo? Forse è la canzone con la quale ti ha chiesto di vivere assieme, a meno che non sia quella sulla quale ha finto di essere Babbo Natale, per compiacere il tuo assillante cuginetto.
Ma ho altre ipotesi. Potrei azzardare che tu stessi pensando proprio al cuginetto, peste malefica che tormenta la tua vita, la pulce che sopporti per arrotondare le spese. Quella formichina, alla quale non riesci a non voler bene tanto quanto lo odi profondamente, perché pensa che tu sia snodabile ed insensibile. Quel funghetto, che quando chiude gli occhi diventa improvvisamente una soffice nuvola azzurra, sollevata lievemente da un dolce respiro. Forse è partita sul tuo smartphone proprio la sua ninnananna preferita: per l'ennesima volta ti riprometti di creare una playlist per quando cammini per strada.
E se invece tu pensassi alla tua best friend? Da quanto tempo non la vedi, dannata distanza. Essere fuori sede concede indipendenza, ma a volte ti chiedi se i sacrifici valgano la candela. Quella che rappresenta la vostra amicizia, per fortuna, resiste alle intemperie: riesci a vederla, accesa su quel tavolo, a dividervi dall'all you can eat di sushi che scorre davanti a voi. Da mangiare con la forchetta ovviamente: siete pur sempre occidentali. 
Immagine correlata
Photocredit: earlytorise.com
Ecco cosa ti aveva fatto sorridere! Era la canzone del ristorante, quella che sovrappensiero vi siete messe a canticchiare all'unisono. Oddio, canticchiare è un parolone: avete abbozzato due o tre termini in inglese maccheronico, senza centrarne uno. Il cantante apprezzerà lo sforzo, quando vedrà che le hai messo sotto l'albero proprio il suo disco, in versione platinum per giunta. 
Magari invece ti è saltato in testa quel cerebroleso di tuo fratello. Hai sorriso per non piangere, perché è partita una delle sue canzoni deep metal che ha forato il timpano da parte a parte, a tal punto che ora potresti farci passare le lucine natalizie e diventare l'albero della casa. Perché tale robaccia sia finita nel tuo lettore musicale, è un mistero.
Penso che avresti potuto ascoltare anche una canzone di quelle antiche, il caro vecchio swing che tua nonna tanto adorava, quello perfetto come sottofondo mentre cucinava mezzo "pacco di giù" in una sola portata. Quella canzone che mugugnava, insultando i dannatissimi inglesi che toglievano senso alla sua bella Italia, sebbene poi adorasse le loro canzoni. Quanti ricordi.
Oppure potrebbe essere l'artista tanto amato dalla tua mamma e dal tuo papà, quello che li ha visti danzare assieme al loro matrimonio. Lo sai perché sei riuscita a rubare il filmino di nascosto, istanti di amore rubati da un pessimo ed alticcio fotografo.
Perché non ci ho pensato prima? Potrebbe essere una nota vocale. Una barzelletta di quel tuo collega matto da legare, un commento sull'ultimo esame di quell'amica delle medie, l'ultimo gossip nato nel gruppo giovani della parrocchia.
O forse, forse... Sorridi e basta. Magari sorridi solo alla vita, e nelle cuffiette in realtà non scorre alcuna musica. Chi sono io per indovinare? 
Chissà. 
Ma grazie, per il tuo inaspettato sorriso, che riscalda questa gelida giornata.   

lunedì 1 maggio 2017

Piove

Era il Primo Maggio, la festa dei lavoratori, durante la quale tutti ormai lavoravano più degli altri giorni.
Anche gli autisti di linea lavoravano, Silvia lo sapeva, e per questo era uscita di casa puntuale, per prendere l'autobus delle quattro e quarantadue sulla strada più trafficata della città. Pioveva a dirotto, un dolce regalino di Giove Pluvio, dopo una mattina fin troppo solare per essere Aprile. Si sa, ad Aprile a quei tempi nevicava.
Silvia si strinse la borsa vicino, per non bagnare il libro di Ovidio che aveva intelligentemente messo nella tasca laterale. Neppure sapeva se l'avrebbe mai letto, intanto era lì ad attenderla.
Si avvicinò alla fermata. Tra la pioggia ed il fumo della sigaretta dell'uomo accanto a lei, riusciva ad intravedere qualcuno dei suoi compagni d'attesa: il fumatore picchiettava il piede sull'asfalto in modo nervoso, la ragazza vestita alla moda esponeva la propria chewing gum al pubblico, la signora vestita di rosa rabbrividiva senza darlo a vedere.
E poi lui. Un ragazzo semplice, con una pashmina, una ventina dell'Adidas e i pantaloni di tela col cavallo al ginocchio. Stava sotto un ombrello che sembrava più da spiaggia che da pioggia, malgrado avesse anche un cappellino da basket che non nascondeva i bruni capelli alla Goku. Era italiano, lo sapeva, lo aveva visto tante volte nel quartiere, eppure nei lineamenti tardiva un'origine orientale, forse filippina o koreana, vista la carnagione marcatamenre olivastra. Un tipo insomma.
Ma talentuoso.
Sulle orecchie aveva schiacciato due semplici pezzi di plastica nera, che aveva collegato al cellulare. Grazie a quelli creò la magia: si mosse, prima un braccio poi l'altro, poi una gamba e poi un'altra, inclinò la testa e spinse il bacino, come un cobra in mezzo a loro, i topini.
Sembrava che solo Silvia lo notasse. Guardò l'uomo, guardò la ragazza, ma caspita, solo lei vedeva quel prodigio? Evidentemente sì.
Il ragazzo continuò a danzare, ma senza farlo sul serio, solo slittando impercettibilmente i propri arti su una traiettoria invisibile; fu marionetta di se stesso per quella che a Silvia sembrò un'eternità, un tempo infinito che la librava verso un'altra dimensione. La musica che pompava nei suoi timpani lasciò il posto a quella che pulsava in quelli del ballerino, e sentì la sua stessa emozione, le parve che quei lievi movimenti fossero davvero un cocktail micidiale di genio e follia. Si lasciò trasportare dalla musica, che la rendeva tranquilla all'apparenza, scatenata nell'animo.
All'improvviso, l'ipnosi finì. Con soli quattro minuti di ritardo, l'autobus si presentò sulla banchina, sfiorando con un getto d'acqua la signora già fradicia. Il ragazzo si sporse per farsi notare. Salì.
Un giovane, sul mezzo, diradò la nebbia dal finestrino con un colpo di felpa.

venerdì 24 marzo 2017

Disagi

Salve compagni di viaggio,
Vi scrivo al volo per scusarmi con coloro che hanno attivato la notifica push via mail: stamane avrete probabilmente ricevuto qualche messaggio di troppo. Non ho scritto nuovi articoli (so che vi dispiace...), ma ho semplicemente sistemato le immagini che sono state eliminate dal nuovo protocollo sulla privacy di Blogger, ed ho sistemato anche due cosucce di grafica. Di conseguenza, alcuni articoli sembreranno pubblicati oggi, ma risalgono a mesi - se non anni - fa.
Ovviamente, è un'occasione per rileggerli! E se vi piacciono, commentate 👍
Vostra,
Silvia, timoniera del viaggio