venerdì 12 ottobre 2012

Sfida: FOTOGRAFIE

Guten Abend! Wie geht's?
Oggi sono super international... :D
Grazie per le quasi 990 visualizzazioni... Per la 1000 grande festa! 
La parola di oggi, gentilmente offerta dalla dolce Angela, è FOTOGRAFIE. 
Beginnen wir!

Quante cose succedono in un attimo? Un sacco. Ma l'obiettivo di una macchina fotografica può congelare un solo attimo ed una sola cosa per volta, e per questo la foto sarà irripetibile: per quanti scatti si rifaranno, per quante prove si sprecheranno, per quante foto si scaricheranno, quell'attimo sarà unico. Indescrivibile.

Nella mia carriera ho immortalato numerosi attimi, innumerevoli momenti di vite altrui, belli, brutti, sfocati, nitidi, in bianco e nero o a colori. Uno più sacro dell'altro: uno scatto può dire più di un miliardo di parole, e queste possono cambiare di persona in persona.
La mia foto preferita la scattai a marzo, sulla costa di Pantelleria: un bambino, seduto su uno scoglio al tramonto, stava piangendo, il visino paffutello nascosto tra le manine ed i calzoni sporchi di sabbia. Accanto a lui, una donna sulla quarantina, non molto bella ma dai lineamenti morbidi, inginocchiata davanti al pargoletto gli tendeva un pupazzotto bagnato, senza un occhio né la coda.
Una persona estranea potrebbe pensare che il bimbo stesse  piangendo poiché il peluche s'era bagnato, un'altra poiché era rimasto senza occhio, un'altra senza coda; nessuna magari riuscirebbe ad azzeccare la vera ragione di quel pianto disperato. O magari l'azzeccherebbero tutti quanti al primo colpo, chi lo sa. Una foto esprime emozioni diverse in base a chi la vede. Mi ci sono voluti solo pochi secondi per capirlo, anni per tentare di far capire ciò che voglio - o devo - esprimere.
Dietro ogni fotografia c'è una storia: di generazioni in generazioni, quegli stessi tratti somatici sono stati tramandati di padre in figlio; quello stesso paesaggio è stato ammirato e/o criticato da centinaia di persone diverse in epoche diverse e con mentalità diverse; quell'edificio, quella statua, quello stesso oggetto è stato fotografato, analizzato, osservato da tutte le angolazioni possibili, da occhi di tutti i colori esistenti in natura, è stato toccato da centinaia di mani diverse, curate, mangiucchiate, smaltate, screpolate, tagliate, callose, ruvide, lisce, morbide...

Talvolta - molto spesso in verità - mi capita di gettare lo sguardo su una foto degli anni '70. Tre ragazze, del tutto diverse tra loro, sono in posa davanti ad un aeroporto. Tre ragazze accomunate solo dalla nuova moda del momento: la Minigonna, adorata dalle ragazze (e dai ragazzi!) ed odiata dai genitori e dalle nonne un po' "all'antica". La novità del momento, la trasgressione più in voga degli anni '70. 
La rivoluzione a quei tempi era quella; adesso la minigonna rimane, ma cambiano i modelli, i tessuti, i colori, le lunghezze.
In questo modo le fotografie diventano storia, testimonianza culturale, identità di gente diversa da noi, eppure così uguale nella sua diversità.
Una foto può cambiare il destino di una o più persone: se una moglie gelosa immortala "per caso" il marito mentre sosta al bar con l'amante, il destino di quelle due persone è irreparabilmente deviato.
Ed una foto scandisce il tempo: scattando una foto ad una meridiana, il tempo si ferma per sempre alla tal ora in quel tal giorno in quel tal posto. Il mondo continua, il tempo scorre, la foto resta.
Poi un giorno un uomo ed una donna si svegliano e, sapendo che quello sarà il dì più bello della loro vita, chiedono ad un fotografo di immortalare ogni secondo di quel giorno meraviglioso, e di congelare per sempre il loro SI, per rivederlo più e più volte, fino a stancarsi, fino a che quelle due lettere, gridate, sussurrate, sollevate, liberate, diverranno parte di loro, dei loro figli, dei loro nipoti. A loro volta, parte della storia.
Una foto può essere nuova, fresca di stampa, con l'inchiostro ancora fresco ed i contorni ben definiti; ma la migliore secondo me è la fotografia ingiallita, corrosa dal tempo, indistinta, strappata, macchiata dal caffé della mattina della maturità, dalla lacrima del primo fidanzato, dai baci dell'ultimo, screpolata dalle mille mani che l'hanno toccata, consumata dai mille sguardi che l'hanno fissata fino a farsi male, tentando di farsi del bene.

Una fotografia può raccontare di cose e di persone che non ci sono più, può raccontare di morte e distruzione, come può mostrare la venuta al mondo di una nuova creatura.
Un altro scatto che mi ha sempre colpito è quello che mostra la casa dove sono cresciute mia nonna e dopo di lei mia madre. Quel posto ora non c'è più, buttato giù dalla modernità e dall'innovazione. Ma la Casa è dentro di me, ed è immobile nell'immagine che tengo in mano ogni giorno, per non dimenticare il mio passato, ma per ricordare che il mio futuro dipende anche dall'abbattimento di un simbolo "antico" come la casa delle mie origini.
Ed è bello vedere le foto di un tempo, e poter dire "lì tutto è iniziato" o "in quel momento tutto è finito"...
Certamente, il formato digitale non dona più molte di queste sensazioni, ed i rullini sono diventati cimeli della II guerra mondiale, ma in una fotografia può esserci comunque il Tutto, come può esserci il Niente. Sta a noi deciderlo. Ed al fotografo.

Cosa ne pensate? Un bel monologo...
Andando contro i miei sani principi, vi annuncio che aprirò una pagina Facebook per rendervi più comodo seguire il blog. Have fun! ;D
Ivy

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