sabato 31 dicembre 2016

Buon 2017! Bilancio del 2016

Buon anno, compagni di viaggio!

Immagine tratta da "http://www.auguri2017.it/immagini-buon-2017/strada-2017_tumb.jpg"
Ecco il mio regalo per voi: il mio quasi-annuale bilancio di fine anno.
Ne sono passati infatti parecchi da quando ho aperto questa pagina di vita sul web, e da allora, puntualmente, mi ritrovo a scusarmi per la mia assenza. Una cosa che mi pesa, sapete? Perché questo è l'unico posto nel quale io mi senta me stessa, nel quale quella che scrive è la Vera Silvia.
Con questo post, dunque, voglio fare un bilancio dell'anno e su me stessa. Di certo, a differenza del resto di Internet, non mi posso lamentare, anzi! Per me è stato un anno cardine, uno di quelli che - credo - ricorderò per tutta la vita. 
Ho riscoperto me stessa, ed ho fatto affiorare alcuni aspetti di me che avevo seppellito. 
All'inizio dell'anno ho fatto il doppio buco alle orecchie - che ehi, non è una stupidata! Ho modificato (quasi) permanentemente il mio corpo!
In seguito, ho conseguito la patente di guida. Malgrado l'abbia insultata dall'inizio alla fine, solo ora, dopo qusi un anno, riesco ad apprezzarla come un indice della mia autonomia.
Poi ho finito la scuola. Penso che l'università sia il primo grande passo, la seconda grande scelta dopo quella delle superiori. Entri con una consapevolezza indescrivibile: come se finalmente, o purtroppo a seconda dei casi, tu sia adulta.
Dopo la scuola, ho fatto uno stupendo viaggio alla ricerca dell'indipendenza e dell'avventura con la mia classe, a Zante. E devo dire che ho trovato entrambe le cose! Tra tramonti, albe, mare e musica, ho vissuto un'esperienza indescrivibile, che mi ha formato dentro.
Anche se la cima del monte è arrivata con il mio secondo viaggio estivo, a Cracovia per la GMG. Lì ho compreso l'altra parte di me, ho riscoperto una fede viva e pulsante, crescendo nella misericordia di Dio. 
Ma il viaggio non è finito: per concludere il cerchio, sono tornata con la mia famiglia nella mia terra d'origine, in Calabria. Non è stato un ritorno solo letterale: dopo un viaggio così, era necessario concluderlo in bellezza, perché è sempre il nostro passato che ci forma e ci rende tali. Bisogna ricordare ed onorare le proprie origini.
Tornando a Trento, ho iniziato la già citata università. E lì ho conosciuto dei nuovi amici, che mi hanno accompagnato fino ad oggi (e che saluto, visto che hanno scoperto l'esistenza di questo mio piccolo mondo ;D), ed ho ri-scoperto una mia carissima amica, sotto una veste nuova. In fondo, tutti cresciamo.
I miei affetti, in ogni caso, mi hanno tenuta per mano e portata fino a questa fine del 2016. Non posso non citare la mia mamma, il mio papà, mio fratello(ne ormai!), la mia amica Sarah ed il mio stupendo ragazzo. Considerando che è la prima volta che lo nomino qui, è una novità anche questa, ma non me ne vergogno: anche questo è crescere, o no? 
Ed il blog ha cambiato nome e veste, non dimentichiamocelo! Anche questo è un traguardo importante.
Infine, voglio fare un'ultimo gesto simbolico. Per anni ho usato questo blog ed i social-networks sotto falso nome, Ivy Vazzy. Ma siccome "anno nuovo vita nuova", quest'ultimo giorno del 2016 modificherò il nome definitivamente. Perché io sono Silvia Vazzana, e questo non potrà essere modificato da alcuno pseudonimo. Direi che è ora di crescere anche sul web: le nuove piattaforme di comunicazione servono sempre più, e non mi vergogno di ciò che sono. Magari un pochino-ino-ino di ciò che sono stata, ma chi non ha rimpianti/rimorsi? 
Sono stata molto bigotta, molto chiusa, molto critica, estrema in molte decisioni, non ho pensato prima di parlare e sono finita nella contraddizione più volte. L'importante è comprendere i propri sbagli.
Non posso però non essere triste, nel chiudere questo anno (e questo post). Non sono mai stata brava con le parole, a voce; spero di rendere questo mio 'disagio' a lettere nere su sfondo bianco, o meglio lettere violacee su sfondo lillà. 
Grazie a tutti voi che mi leggete, che mi avete letto e che mi leggerete. Buon 2017 a tutti, di pace e felicità.
La vostra compagna di viaggio,
Silvia

PS: non sono scomparsa! Sto scrivendo numerosi articoli per Il Secolo Trentino, giornale online che trovate qui. Dunque, passando il mio tempo a 'fare la giornalista in erba' ed a studiare, è difficile trovarne anche per scrivere a voi. Scusate :)

giovedì 17 novembre 2016

Buongiorno!

Buongiorno a tutti!
Sì, lo ammetto, dovrei essere a lezione in questo istante. Ed infatti lo sono: ma non vi ho più aggiornato su alcunché, e ho un attimo di pausa per farlo.
Dunque. Sì, sono a lezione: ho iniziato l'Università - l'avrete capito dal fatto che sono scomparsa... Suvvia, non sono la prima e non sarò di certo l'ultima! Però proverò, tra un esame e l'altro, a ricordarmi più spesso di voi.
Nel frattempo, sono entrata in contatto anche con un giornale online, Secolo Trentino, che mi ha accolto nella propria redazione. Trovate il mio primo articolo qui: La Luna Oltre La Luna.
Spero vivamente di poter rientrare in possesso del mio tempo libero abbastanza per scrivervi più spesso. Nel frattempo, godetevi la nave: si parte a breve!
Buona giornata,
Ivy

Compagna di Viaggio, ex Crazy Girl's Fairy Tales

Ciao a tutti!
La nuova immagine di copertina: vi piace?
Come noterete, ho fatto un deciso restyling al blog, che ha cambiato nome - non più Crazy Girl's Fairy Tales, bellissimo, sì, ma ormai troppo bambinesco per me: spero apprezziate la nascita, o meglio rinascita, di Compagna di Viaggio.
Perché questo voglio essere per voi: un'isola lontana sulla quale approdare dopo una giornata di caos cittadino; un faro in mezzo alla tempesta; un'ancora sicura in mezzo a tante corde mozzate.
Voglio regalarvi un momento di pace, cullarvi, con in sottofondo il suono dei binari, verso la fine del dì.
O per chi ama i sapori forti e decisi, essere il treno che sta per deragliare con James Bond sul tettuccio, o quel calesse dai cavalli impazziti che nel Far West rimbomba tra gli spari.
Decidete voi cosa volete che io sia. Dal canto mio, conto d'essere la Compagna di Viaggio che vi serve.
Vostra,
Ivy

lunedì 29 agosto 2016

Gea Mea, l'amore per la propria Terra


Ciao a tutti!
Dopo un attimo di pace, tornata a casa, mi prendo un momento per scrivervi.
Sono stata, come avete letto nello scorso post, in Puglia per una vacanza... particolare: mi trovavo infatti in provincia di Brindisi, per la premiazione dell'ultimo concorso letterario al quale ho avuto il piacere di partecipare.
Ed ecco che, presso Ceglie Messàpica, ho ricevuto l'attestato per il terzo posto del concorso MittAffett allo scrittore - Gea Mea, con il testo Profumo di mare, decretato dal Presidente di Giuria Paolo Giordano! (Vincitore del Premio Strega con La solitudine dei numeri primi, ma io vi consiglio di leggere anche Il corpo umano ed il capolavoro Il nero e l'argento)  Oltre 300 partecipanti, wao!
Purtroppo - o per fortuna, non so - non posso condividere con voi il testo vincitore, in quanto è stato antologizzato. Tuttavia vi posso dire che parla di una donna e dell'amore per la sua terra, in particolare Chianalea, in provincia di Reggio Di Calabria.
Non mi resta che postare qualche foto per voi, ringraziare nuovamente Paolo Giordano per aver giudicato il mio testo degno di premio, e... ringraziare per il sostegno Maria Rosaria Pelusio e Federico Verdi, che a quanto pare conoscono meglio di me il mio amore per il Sud, e sono più bravi di Paolo Giordano nel giudicare il mio talento.
Qui trovate il link alla pagina Facebook dell'Associazione MittAffett, promotrice del concorso, e le foto della serata, alcune delle quali sono anche qui.





Con l'Assessore Antonello Laveneziana e l'attestato
Con Paolo Giordano e gli altri finalisti del concorso
L'attestato del concorso
Un'ultima riga per le popolazioni terremotate del Centro Italia: siamo tutti con voi, forza!

domenica 21 agosto 2016

La signora Marilena: l'umiltà del bisogno

Mi sono innamorata di Lecce.
Lecce non sembra una città del sud, sfido chiunque a non scambiarla per le più glamour Milano, Torino, Bologna.
Lecce è viva, come solo una città ospitale e generosa può esserlo.
Mi sono avventurata tra le sue vie con gioia, ho assaggiato profumi particolari - cuoio, terracotta, cartapesta, cotone - e ammirato opere artigiane di inestimabile valore.
Stavo per andarmene da Lecce a cuor leggero. Stavo.
Sulla via del ritorno, la mia vita tutta pailettes rosa e souvenir colorati s'è momentaneamente ingrigita.


 














Lei è la signora Marilena. 
Una signora come tante altre che s'incontrano per le splendide vie pugliesi. Distinta, a modo, sedeva composta avvolgendo le mani attorno all'esile corpo segnato dalla vita.
Indossava una gonna nera, un maglioncino nero, delle ciabatte classiche da nonna nere, ed aveva accanto un borsello nero.
La signora Marilena ha la pelle liscissima ed è dolce come lo zucchero. Nei pochi minuti nei quali le ho rivolto la parola mi ha insegnato più di quanto io abbia imparato a scuola in tredici anni.
Mi ha parlato di orgoglio, di come si debba mettere da parte quando si ha bisogno di aiuto.
Mi ha parlato di umiltà, perché non servono tanti gesti plateali per dimostrare che si è in difficoltà.
Mi ha parlato di fede, e mi ha persino detto che il Signore, lo stesso al quale ha chiesto di benedirmi, si era manifestato tramite me.
La signora Marilena stasera giace sul freddo pavimento del centralissimo Corso Vittorio Emanuele, all'altezza del numero 80, a Lecce, su di un cartone mezzo rotto.
La signora Marilena vorrebbe solamente una chiacchiera, e poter comprare il pane il giorno dopo.
La signora Marilena ha due occhi grandi come le luci dei fari e ti scrutano dentro.
La signora Marilena, a terra, era più pulita di me, con le borse degli acquisti al braccio.
La signora Marilena non ha fatto nulla di male per questo mondo schifoso, anzi ha lavorato per anni, magari anche per te che stai leggendo e nemmeno lo sai, ma ora ha meno di 500 euro di pensione nelle tasche, e quasi 400 se ne vanno solo di affitto.
La signora Marilena si è abbassata a chiedere l'elemosina, senza nemmeno scrivere ho fame su un cartello.
La signora Marilena ha semplicemente posto un cappello di lana nero, come tutto il suo vestiario, davanti a sé, e si è seduta. Nessuno la nota. Nessuno disturba.
La signora Marilena potrebbe benissimo essere mia - o tua - nonna, per non dire madre. Potrebbe farti sedere accanto e raccontarti della guerra, o della pace.
La signora Marilena, quando ha saputo il mio nome, mi ha citato A Silvia di Leopardi, anziché chiedermi denaro.
La signora Marilena, abbracciandomi, tremava.
La signora Marilena, quando le ho chiesto una foto assieme, s'è coperta il viso per vergogna - non dell'elemosina, no, ma perché nelle foto esco un mostro.
E invece, signora Marilena, lei è proprio bella.

Dei mostri, siamo noi.
Io sono una stronza, lo so, ed anche parecchio egoista. Ho fatto della legge del contrappasso il mio mantra, ma se mi chiedono 1 euro per mangiare dico che non lo ho e mi volto dall'altra, perché tutti abbiamo fame a questo mondo, chi di questo chi di quello.
Ma. Ma.
Ma la signora Marilena è quel Cristo che s'incontra per le strade, che ti accoglie a braccia aperte anche se non ti conosce, perché forse tra le due avevo più bisogno io.
La signora Marilena mi ha sconvolto l'anima.
Ora vi chiedo, cari Leccesi.
Io non abito a Lecce. Ma vi scongiuro, portate un euro ciascuno alla signora Marilena da parte mia.
Non vi chiedo soldi per me - che farmene? Per i souvenirs? - No. Date un pezzo di pane alla signora Marilena, parlate con lei. Abbracciatela. Confortatela. Come se fosse vostra nonna, vostra madre.
Mi avete accolta nella vostra stupenda città a braccia aperte, voltatevi verso le vostre mura ed abbracciate lei per me.
Ricordatevi le parole di Papa Francesco sul parlare coi nonni, se proprio io non vi sto simpatica.

Ma fatelo, perché un domani lì potreste esserci voi - o io.

martedì 9 agosto 2016

Disturbo di un mattino di fine estate

Buongiorno cari lettori!
Stavolta trovo il tempo di scrivervi anche dalle vacanze al mare. Ed ecco allora qualcosa che, ne sono certa, è capitata a tutte prima o poi...

Le ho provate tutte. Proprio non ci riesco.
Tu non ti sposti. Non ti smuovi. Non ti scansi.
Rimani lì ad ondeggiare, fissandomi furbescamente, come se tutto ciò fosse colpa mia, ma io sono la vittima di questo giochino perverso che va avanti da troppo tempo, per i miei gusti.
Mi sono ribellata come un contorsionista, girandomi e rigirandomi e spingendo contro di te con tutte le mie energie. Però no, tu hai deciso che quel posto ti piace e te lo sei preso di diritto.
Hanno provato a dissuadermi, a farmi lasciar perdere, perché è una lotta impari, dicevano, è più forte di te, ha forza fisica e forza di volontà, si sa nascondere, è subdolo, ti distruggerà i nervi, ti ucciderà!, però io so che posso farcela, con le lacrime che scendono sulle gote ed i muscoli che bruciano ma posso farcela. Vincerò la mia medaglia d'oro nel judo. Nella lotta libera. Nel pugilato.

Il terreno sembra uno di quei paesini sperduti in montagna, quando tutti sono scesi a valle nelle grandi città: tu sei quell’unico anziano testardo che ha deciso d’incaponirsi e non lasciare casa sua, aggrappandosi all’unica ancora di salvezza nel raggio di km, il pilastro del suo vecchio rudere.
Tu sei simile a quelle piante infestanti, che anche quando sei riuscita a togliere tornano più forti di prima.
Sei simile a quell’unico dente nella bocca sdentata che non si può togliere senza provocare danni.
Sei simile a quel segno rosso che non ha permesso alla verifica di essere da dieci.
Sei simile a quella cacca di piccione sul parabrezza, quel piccione bastardo che ha deciso che la tua macchina è perfetta come water mobile.
La tua chioma è simile a quella dei ragazzi del campeggio, i quali non si lavano da due settimane ed hanno affrontato sudore, pioggia, fango e frittura mista di pesce.
I tuoi occhi sono simili agli occhi di un cane randagio abbandonato dal padrone sulla Salerno-Reggio Calabria a mezzogiorno, incavolati più dell’Etna in eruzione.
La tua bocca, come l’ombelico di quel signore in carne che non riesce a distendere il ventre, ripiegato su se stesso.
Sei simile a quella macchia di vino sulla tovaglia preferita che proprio non se ne va, simile a quella scheggiatura sul vetro immacolato dell’iPhone, simile al neo peloso sul volto di Miss Mondo.
Ed io tento di estirparti alla radice.
Prima ho usato il disinfestante, che ha solo impuzzolito l’aria circostante, diventata per ore irrespirabile.
Poi sono passata alla spada, per trafiggerti il cuore e lasciarti agonizzante sul terreno, ma tu hai schivato tutti i miei colpi.
Ho provato a soffocarti con una nube tossica, tu però hai scoperto sempre una bombola d’ossigeno nelle vicinanze.
Ti ho tirato i capelli, ti ho stretto le mani al collo, ti ho grattato fino a farti sanguinare, ma tu no, no, sorridi beffardo, anzi ridi proprio alle mie spalle!, e fissandomi urli perfidie, dici che non mi libererò mai di te, che posso lottare quanto voglio ma non ce la farò, che nella vita vincono i cattivi ed io sono troppo debole per sconfiggerti, che mi posso contorcere anche fino a Natale ma non verrà Dio a salvarmi perché tu se più forte di chiunque altro, ed attorno a te si vengono a creare bozzi e montagnole sanguinolente ed io soffro, soffro…
Ora basta.
Io sono più forte.
Ghostbuster mi fa un baffo.
Infilo guanti in lattice. Occhialini protettivi. Grembiule senza maniche. Hai i minuti contati, caro mio.
Srotolo l’arsenale. Accanto a kalashnikov, berette, bombe a mano, scelgo la Schiuma Da Barba Prorasoed una lametta Gillette Venus.
Alzo il braccio con uno spasmo dolorante. Cerco la posizione più congeniale, ed urlo È finita!
Ed attacco quell’unico pelo nell’incavo dell’ascella che non se ne viene mai via.

Inutilmente.

martedì 2 agosto 2016

#GMG16

Ciao mondo!
Se vi può interessare, ecco il link del mio ultimo articolo su La Voce Del Trentino, dedicato alla mia esperienza a Cracovia per la GMG 2016:

http://www.lavocedeltrentino.it/2016/08/02/portiamo-la-pace-nel-mondo-gmg16-krakow-viaggio-ti-cambia-la-vita/
Lo pubblico anche qui.
Spero vi piaccia! Un bacione! 



Ivy

Prima di partire, mi avevano detto che l’esperienza della Giornata mondiale della gioventù (GMG) cambia la vita.
All’inizio non ci avevo creduto. Solitamente funziona come quando dicono che un film è commovente, ma tu ti addormenti davanti alla tv: è una cosa soggettiva.
Tuttavia partecipare, ridere, urlare, cantare, ma soprattutto pregare, mi ha fatto ricredere.
La delegazione trentina è partita il 24 agosto, una serata come tutte le altre, eccezion fatta per la stupenda Messa presieduta dal Vescovo Lauro.
Già in quel momento iniziavo a pentirmi della scelta fatta: al contrario di tante persone lì presenti, conoscevo pochi ragazzi, mi sentivo sola. Pensavo: chi mi ha spinto a fare un’esperienza simile? Perché andare in un posto lontano, con una lingua, una cultura ed una moneta sconosciute, stando scomodi? Dio non mi ascolta anche da casa?
Ci sono voluti due o tre giorni, ma ho capito perché sono andata a Cracovia.
Innanzitutto, perché si respirava misericordia: su ogni volto si poteva leggere un sorriso, ad ogni angolo si incontrava una mano tesa per battere il cinque, in ogni bandiera un sentore di globalità, in ogni sbadiglio, stiracchiamento, piegamento, una stanchezza comune mista a voglia di andare avanti.
Paradossalmente, un evento tanto multiculturale è stato occasione di patriottismo. Si vedevano bandiere tricolori ovunque, ed appena se ne avvistava una, un urlo risuonava tra le strade: “ITALIANO BATTI LE MANI!” ed un sonoro clap scaturiva dal cozzare dei palmi.
Qualcuno ha scambiato la propria bandiera per quella di un’altra nazione; molti altri, come me, hanno preferito farla firmare al proprio gruppo, ricordo di amicizie nuove sbocciate a km di distanza dalle proprie case, ma destinate a continuare anche in Italia.
Tanti cori “da stadio” e tante canzoni dedicate a Dio venivano intonate in massa, qualche volta partite semplicemente dal borbottio di qualcuno e tramutate in giubilo verso il cielo. Spesso non si conoscevano le parole, e quindi si aspettava che la strofa venisse ripetuta due, tre volte per iniziare a cantare tutti assieme.
Ogni tanto si interrompeva perché ci si doveva spostare per far passare ambulanze, vigili del fuoco e polizia. Da una parte ci si sentiva protetti, dall’altra un brivido scorreva lungo la schiena, e magari si rivolgeva nel proprio intimo una preghiera silenziosa, per poi tornare a cantare.
Ciò che ho preferito sono state di certo le Messe. Cracovia non è stata molto clemente col tempo – non di rado abbiamo tirato fuori le ventine gialle, rosse e blu del Kit Internazionale per proteggerci dalla pioggia! -, però ad ogni Messa e ad ogni momento di preghiera o riflessione all’aperto, il cielo si placava. Durante la Messa di apertura a Campo Blonia, al momento dello scambio del gesto di pace, è persino uscito un raggio di sole.
E che Pace! Come mi è piaciuto ribadire sempre, abbiamo sul serio portato la Pace nel Mondo! Ognuno la dava a modo suo: moltissimi si abbracciavano e si baciavano, un gesto stupendo rispetto alla nostra “fredda” stretta di mano. Alcuni si limitavano alla parola “Pace”, altri usavano formule del tipo “La Pace sia con Te”, ognuno nella propria lingua o in inglese.
Le Messe si potevano ascoltare nella propria lingua grazie alle radio. È stato buffo, a Campus Misericordia e, ascoltare la Messa di Papa Francesco: la frequenza in italiano prendeva solo sollevando il braccio al cielo! Non pochi si sono ingegnati per far meno fatica, attaccando lo smartphone ad ombrelli, bandiere, bastoni, persino stampelle.
Malgrado ciò le parole del Papa ci hanno scaldato i cuori, e durante la Veglia, circondati da quasi due milioni di candele, si poteva sentire il calore della preghiera. Un’esperienza di fede unica ed irripetibile, seguita da una notte insolitamente serena sotto le stelle.
Durante la settimana numerosi eventi hanno animato la GMG: i ragazzi del Trentino hanno seguito in particolare per tre mattine la catechesi, colma di parole che sono entrate nel profondo della mente e dell’anima e che molti di noi hanno scritto sul proprio Diario, con la collaborazione del Vescovo di Palermo mons. Corrado Lorefice, del Vescovo di Cerignola – Ascoli Satriano mons. Luigi Renna e di Fra Andrea Cova.
Quest’ultimo nella giornata di mercoledì ci ha illustrato i mosaici del Santuario di San Giovanni Paolo II, che poi siamo andati a visitare prima della Festa degli Italiani: il Santuario è un luogo magico, dal quale traspare la Misericordia grazie ai giochi di luce dati dai mosaici dorati.
Inoltre vi è esposta la tunica dell’attentato fatto a Papa Wojtyla nel 1981 da Mehmet Ali Agca: vederla e pensare che è sopravvissuto porta a credere immediatamente che è stato un miracolo.
Anche il momento delle confessioni è stato particolarmente sentito, perché lì è stato tangibile il perdono di Dio tante volte invocato dai preti e dal Papa.
Si può di certo dire che non siamo stati giovani da sofà, né pensionati prima del tempo, ma anzi siamo state ottime sentinelle del mattino!
Ciò che mi sento di dire, alla fine di questo viaggio, è che sì, la GMG ti cambia la vita.
Guardi il mondo con occhi diversi. Impari a vivere con più tolleranza ed un sorriso stampato sul viso, a collaborare per stare meglio assieme, ad avere pazienza se le file sono eterne e magari alla fine non si vede (o non si mangia!) niente, a camminare per ore ed ore perché i mezzi sono pieni, ma comunque a ringraziare i volontari e le forze armate che ti permettono di passare di lì senza farti del male. Insegna ad accettare ciò che viene, a chiudere gli occhi e pensare che si è fortunati anche in quel momento, ad apprezzare il silenzio anche se si ama il caos, ed a stare in silenzio se qualcuno ne ha bisogno. Si comprende la forza di una domanda, e che nessuna è veramente stupida quindi tanto vale porla, magari la risposta sorprenderà.
Si nota quanto sono forti le parole e fa capire la distanza, e quanto le persone a casa possono stare in pensiero. E se si è insieme, anche se il cibo non va giù o la musica non è spettacolare, ci si può divertire comunque.
Infine, qualche parola per la ragazza romana venuta a mancare ieri, di ritorno dalla GMG. Mi sento in dovere di mandare un abbraccio ai genitori per questa indescrivibile perdita. Credo che Dio abbia saputo perché lei e perché ora: nel mentre, preghiamo tutti assieme.
E per tutto, Grazie Gesù.


giovedì 9 giugno 2016

8

Ciao a tutti miei cari lettori!
Vi ho sconvolti un pochino tornando senza nemmeno una riga di saluti, eh? Ma il post precedente, capitemi, è stato scritto di getto... Perché, come avrete intuito, si è chiuso un portone nella mia esistenza. La vita va avanti comunque, e tra me e l'estate c'è un esame di m... da superare. (Ovviamente voi sapete cosa sta al posto dei puntini...)
Ergo, prevedo già di assentarmi per altri 3 mesi: o forse no, chi può dirlo. Mi dispiacerebbe abbandonarvi di nuovo, quindi farò il possibili perché ciò non accada.
Nel mentre, vi posto un racconto che purtroppo non è risultato vincitore in un concorso al quale ho recentemente partecipato... Beh. Nella vita si vince e si perde, ed è sempre meglio vincere, ma quando si perde almeno posso postarvi qualcosa di nuovo :P
Buona lettura!




Ottavia era una studentessa. Un po’ pigra, un po’ distratta, molto addormentata e molto vogliosa di uscire dalle quattro mura scolastiche per andare a spasso con gli amici, che nascondeva però un’indole per una materia in particolare: nel suo caso, la matematica. Già il suo nome, Ottavia, rimandava ad un numero, l’8, che per lei era il migliore in assoluto; secondo lei racchiudeva in sé tutta la perfezione, le filosofie e le regole matematiche assieme, e non si faceva sfuggire mai l’occasione per ribadirlo con chiunque.
Il giorno che fa da cornice a questo racconto fu un’altra occasione.
Suonata finalmente la campanella ed uscita dall’Inferno Dantesco, c’era il suo ragazzo ad attenderla. I due camminarono per un po’, parlarono del più e del meno, poi si sedettero in un bar, l’Eighty-Eight.
“Questa tua fissazione per il numero otto è quasi maniacale” commentò Roberto, succhiando dalla cannuccia un frappè al cioccolato fondente e cocco.

“È perché tu non ti soffermi abbastanza sulla cosa!” La ragazza, con davanti un frappè alla fragola e panna, risucchiò rumorosamente il fondo, facendo girare un anziano signore dall’aria infastidita.
“Su cosa dovrei soffermarmi scusa?”
“Allora, tanto per cominciare: che giorno ci siamo incontrati per la prima volta?”
“Era… uhm… il…”
Ottavia sbuffò. “Mesi e mesi assieme, e non sai nemmeno quando ci siamo incontrati! Te lo dico io: il 18 agosto. Ed agosto è l’ottavo mese dell’anno.”
“Coincidenze? Io non credo.” Rispose lui, citando un famoso programma televisivo. Iniziò a sua volta a risucchiare il fondo del bicchiere: l’anziano si lamentò con la cameriera. Questa, essendo amica di Ottavia, lo calmò bonariamente e se ne andò, facendo l’occhiolino alla coppia.
“Ma quali coincidenze!” continuò Ottavia. “Coi numeri non si scherza! E quando ci siamo messi assieme? Questo te lo ricordi?” Intanto prese dalla borsa una penna ed iniziò a disegnare sul tovagliolino del bar. Al centro pose un enorme 8, e collegò ad esso la scritta ’18 agosto’.
“Ma certo che me lo ricordo.” Addolcendosi, Roberto le prese la mano, sfiorandole le nocche. “8 ottobre.”
“8! Visto?”
Il ragazzo sbuffò. “E chi me lo dice che non lo hai fatto apposta?”
“Ma se sei stato TU a chiedermi di metterci assieme!”
“Magari mi hai stregato.” Le baciò la mano, ridendo. Lei arrossì, poi si ricompose.
“Non mi distrarrai così, caro mio! Che mi dici delle mosche?”
“Intendi dire che il numero 8 ha effetto anche sulle mosche?”
“Eh, certo. Le mosche sono convinte che il numero 8 sia una ragnatela, dunque la evitano per non rimanere attaccate.” Nel frattempo Ottavia addentò una brioches alla marmellata di mirtilli. Mugolò di piacere. Aggiunse allo schema ‘8 ottobre’ e ‘mosche’.
“Appunto. E ti sembra positiva la cosa?” Roberto tentò di rubarle un morso, ma Ottavia scansò il cornetto, facendo in modo che il giovane si mordesse la lingua. “Ahia!” piagnucolò.
Lei gli scoccò un bacio sulla guancia. “Si, mi pare positivo” rispose, “perché così non entrano mosche in casa!”
“A me pare una cavolata.”
“Bene, allora ti faccio un altro esempio: la clessidra. Hai mai notato che è simile ad un 8? Persino il tempo è governato da questo numero! E che dire del quadrifoglio, che è formato da due 8 incrociati?” Pose sul tovagliolo il disegno di un quadrifoglio ed uno di una clessidra.
“E quindi anche la fortuna è in mano ad un 8?” Roberto si alzò, portafogli alla mano.
“SI!” urlò lei. Qualcuno si girò, spaventato dal suo grido. Ottavia, imbarazzata, s’alzò a sua volta, spolverandosi i jeans. “Beh, si, anche la fortuna. Sarà bendata con degli occhiali a forma di 8.” Concluse l’opera d’arte con una donna con gli occhiali. Piegò il tovagliolo e lo pose nella tasca dei jeans del ragazzo. Roberto protese la mano per prendere il conto, ma Ottavia fu più veloce: lo lesse e rise.
“Visto? 8 euro!”
“Dammelo!” Le strappò di mano il foglietto. Poi socchiuse gli occhi e la fissò. “Tu hai cospirato con la cameriera!”
“Assolutamente no!” rispose lei alzando le mani.
Dopo che pagarono, Ottavia s’appese al suo braccio. “Noi siamo legati da un 8. E l’8, visto al contrario, è simile ad un infinito.”
“Non starai per esordire con un discorso simile alle ragazzine che si fanno i selfie nei bagni e postano le foto su Facebook, vero?” sbuffò lui.
“No. O meglio, non proprio. Secondo me, il simbolo dell’infinito è diventato popolare perché qualcuno ha avuto la geniale intuizione di sfruttare l’idea di qualcosa che non finisce mai. Perfetta per una coppia o per un’amicizia, certo, ma a me piace per un altro motivo.”
“Ah, si? Quale?”
Ottavia si fermò. Tirò fuori dalla T-shirt una catenina, alla quale era appeso un ciondolo col simbolo in questione. Lo pose davanti agli occhi di Roberto e disse: “Vedi come è formato? Non è solo una linea che non termina mai, altrimenti saremmo tutti ad osannare gli 0, i cerchi, le O. No, questo in mezzo s’incrocia. Ecco, io credo che il nostro legame sia così. Non solo come una linea che non ha inizio né fine, ma anche come un incrocio che lega due vuoti. Prima di te ero vuota. Ora sono legata a te.”
I due giovani si baciarono. Poi camminarono mano nella mano, ognuno perso nei suoi pensieri. Alla fine Ottavia ruppe il silenzio.
“Stasera cinema?”
“Va bene,” rispose lui. “Ma cosa?”

Ottavia fece un sorrisetto cospiratore. “L’ultimo di Tarantino… The Hateful Eight!”


Spero non vi sia sembrato troppo paradossale. Io mi sono divertita a scriverlo!
A presto, ne sono certa,
Ivy



PS: si, purtroppo mi sono accorta di aver saltato il 4° compleanno di Fairy Tales :( I'm sorry! Ed auguri a NOI!

martedì 7 giugno 2016

Last Day Ever


Ciao caro vecchio Prati,

Ho voglia di parlare con te. Sai che sono una persona egocentrica e menefreghista, quindi non m'importa cosa avranno da ridire gli altri: io ti scrivo.
Cinque anni fa ho varcato questa tua porta convinta della mia scelta. Non ho nemmeno guardato gli altri posti: hai subito avuto qualcosa che m'ha attirato come una calamita, che mi ha fatto dire "qui è dove voglio stare".
E caspita, me ne sono pentita più volte! A partire dal primo 4, che è stata una coltellata in pancia dopo i voti alti delle medie; passando alle tante verifiche con "troppa roba da studiare!", approdando a quelle versioni che ancora oggi proprio non capisco.

Ma credo che questo sia il più grande insegnamento che tu mi abbia donato: mi hai richiesto sempre il meglio, cosicché anche quando non sono riuscita a dartelo, sono stata comunque eccellente.
Se mi guardo alle spalle, vedo una persona totalmente diversa da quella che sono ora. Sono entrata da precisina, meticolosa, sempre elegante (o quasi), logorroica ma sulle mie, presuntuosa da far schifo. Ora ne esco maturata (non ancora scolasticamente, ma just details), con un occhio di riguardo ai bisogni altrui e le Converse ai piedi. Ma ancora presuntuosa. Ovviamente. 
Mi hai insegnato a rendermi ridicola ed a mettermi in gioco, perché la vita è una sola, e del doman non v'è certezza quindi carpe diem. Mi hai insegnato che si può essere i migliori anche senza dimostrarlo, e che viceversa coloro che lo dimostrano forse non lo sono così tanto. Mi hai insegnato che ci sarà sempre qualcuno che tenterà di buttarmi giù, ma io sto coi piedi per terra e non mi arrendo, e che uno su mille ce la fa, ma se quell'uno si gira può aiutarne altri cento. Mi hai insegnato che ancora non so spiegarti il mio metodo di studio, ma l'ho acquisito giuro!, e che anche se credo di non sapere un tubo sono in grado di parlarti di un argomento per 10 minuti. Mi hai insegnato a dubitare anche di me stessa, che le tautologie non sono spiegazioni, che la cultura non è solo umanistica ma è anche scientifica, che "siamo un liceo classico!" ma non sembra. Mi hai insegnato che anche quando il momento sembra insuperabile basta guardare avanti e tutto diventa più semplice, e mi hai insegnato che anche quando non penseresti mai di riuscirci ce la farai. Sembra banale, ma mi hai anche insegnato i valori dell'amicizia, dell'amore, del rispetto, e per questo ringrazio tutte le persone che hai accolto nella tua grande famiglia. Ed uso volutamente questo termine, perché i parenti sono serpenti e non sempre si riescono ad amare.
Oggi, scendere quelle scale correndo con in mano un pacco di farina è stato catartico, così come lo è stato imprecare un'ultima volta contro il tuo schifoso sistema per entrare in Internet, contro quelle scale che non finiscono mai, contro la fila ai bagni delle ragazze, contro le vetrine dell'anno vattelapesca, contro i banchi e le sedie, contro le porte che non si chiudono se non le sbatti. Non sono riuscita a piangere, probabilmente stasera crollerò, ma ho sentito che era giusto così. 
Vai, Prati, vai ad educare altri ragazzi alla vita. Tormentali, prosciugali, e poi masticali e risputali. Ma voglio vedere quanti non ne usciranno migliorati.
Grazie.
Silvia

giovedì 18 febbraio 2016

Il lavoro a maglia

Ciao Nonna,


hai visto da quanto tempo non entravo qui? Un'eternità. Mi sa che studio troppo.

Ci sono voluti tre giorni tra 38 di febbre, pseudo-placche alla gola, naso tappato, vomito, mal di testa e capogiri per darmi un po' di tempo per scrivere.
E già che c'ero, ho fatto anche altro.
No, non ho studiato ulteriormente, tranquilla. Temo che sia stata quella scuola a farmi ammalare, non mi sopporta più - vuole proprio che io me ne vada. Però si, ho letto, un libro che - off topic - consiglio a tutti: Istruzioni per rendersi infelici di Paul Watzlawick (lo ammetto... Ho googlato il nome alla cavolo e ho fatto copia-incolla di quello corretto, ma era difficile, su!). Davvero bello comunque.
Forse è anche merito di Watz, che mi ha dato una "spintarella" se ho fatto altro al posto di leggere e leggere e leggere, fino a stamane, ma soprattutto se ho deciso di scriverti di nuovo, qui, nel piccolo mondo dove le mie favole diventano realtà.
Ecco.
Ho ripreso la sciarpa, nonna. E l'ho finita. 

Ricordi questa foto? Era il 25 ottobre 2009, il compleanno di mamma. In un raptus folle io e lei c'eravamo truccate a vicenda, e direi che ero ridotta alla grande! Ma non è questo il punto.

È uno dei ricordi più belli che ho del tempo che abbiamo passato assieme. Mi hai insegnato tu come lavorare coi ferri - dopo che abbiamo constatato che all'uncinetto e a punto a croce era meglio evitare, visto che non volevamo aprire un mutuo per pagare filo ingarbugliato.
In questa foto, come hai sempre fatto, mi osservavi con fare piuttosto attento, e qualora avessi combinato l'ennesimo macello eri pronta a salvare il povero, innocente lavoro capitato per sfortuna tra le mie mani. 
Ah, quanti buchi e quanti punti saltati! Ed ogni volta disfare, ricucire, riprendere, talvolta rinunciare con un sospiro.
Dal 2009 ad oggi sono passati 7 anni. Sembrano pochi, eh? E invece sono un'eternità.
Tu te ne sei andata quasi quattro anni fa, eppure quel lavoro, proprio quello che faccio finta di ricamare nella foto, non l'ho mai finito. Almeno, non fino ad oggi.

Avevo giurato, quando sei salita in cielo, che lo avrei finito per te, e forse è questo che mi ha terrorizzata, come se quel filo quasi candido (diciamo che è un pochino sporco) fosse un cordone ombelicale che ci teneva unite, e finché avessi avuto con me, in fondo all'armadio, il nostro lavoro coi nostri ferri saremmo state ancora unite.

Mi sbagliavo. Non c'è modo migliore di onorarti del finire ciò che abbiamo iniziato assieme.



Eccola qui. Ti piace? Si, okay, non è super super bella. Ma racconta in un certo senso come sono cresciuta - guarda com'era stretta all'inizio, e come alla fine sia larga e più regolare!

Alla fine ho sentito la tua mancanza più che mai... Per chiudere il lavoro ho usato un tutorial su Youtube! Però anche questo è crescere, arrangiarsi e tener fede alla parola data.
Ne vado decisamente fiera. 
Anzi, potrei persino dire che è una splendida metafora di vita. Questo filo, che ricorda molto le tre Parche che secondo i Greci tessevano la vita, continua ad essere attorcigliato attorno al ferro, ed ad ogni punto per lavorarlo si aggiunge un pezzetto di filo nuovo, finché giunti alla fine si ricuce il filo vecchio su se stesso e zac!, si taglia quel poco in eccesso. In mezzo ostacoli, come punti saltati, persi o mal lavorati, e qualora si volesse aggiungere un altro gomitolo, di un altro colore, si può anche unire la propria vita a quella di un altro.
Si, direi che sei riuscita ad insegnarmi più tu coi tuoi ferri che la scuola in più di 10 anni.
Dovrebbero re-introdurre il corso di cucito alle elementari. Forse cresceremmo tutti meglio.



Ora ti saluto nonna, vado in cerca di un medico. Prega per me, e controlla il mio lavoro. Ma non criticare troppo: ricorda che è stato fatto con amore.




Silvia




PS: Ne ho trovato un altro iniziato e mai finito. Anche qui mi ci vorresti tu, credo di averlo ripreso davvero male. Ma non m'importa più di tanto.