martedì 19 dicembre 2017

Una canzone sorridente

Spero che la mia lunga assenza non vi abbia tolto la voglia di leggere le mie parole. Come ben sapete, compenso con qualche articolo di giornale: QUI tutti i miei testi. Grazie per essere ancora qui.

Lo riconosco, quel sorriso.
È lo stesso che vedo sul mio volto, quando mi rifletto nel vetro polveroso di un autobus pieno di corpi stanchi. È il sorriso di chi sta ascoltando la canzone della vita. 
Puoi provare a fermarlo ma non ci riesci, affiora dagli abissi dell'anima sulle sue labbra socchiuse, e si mescola ad un lieve risolino. Ti fa sentire vivo, ti fa sentire amato.  È gioia allo stato puro, concentrata in un rantolo soffocato, è amore di provenienza divina.
Chissà cosa stavi ascoltando. Ci ho pensato per tutta la mattina, mentre provavo a studiare davanti al mio pc. Non ho trovato di meglio da fare, sarà colpa dell'aria natalizia che soffoca la città. Ho qualche ipotesi però.
La prima, più accreditata a causa della mia natura romantica, è anche la più scontata. Stavi pensando al tuo compagno di viaggio, di vita, di consuetudine: quella persona che ti aspetta, che va col cuore verso il tuo pensiero e col corpo dimora su questa terra. Stavi pensando proprio a Lui, a colui che ami anche se dimentica i calzini tra le lenzuola, dopo averli persi durante la notte, a forza di farti piedino. A Lui che ti supporta a modo suo, rifiutandosi di mentirti anche quando speri ardentemente che lo faccia, a Lui che ti ama di più quando sei in tuta e sempre a Lui, che quando ti parla fa scomparire ogni forma di odio che provi nei suoi confronti. 
E cosa ascolti? La vostra canzone, quella che è partita mentre vi stavate baciando? Oppure una canzone che ricordi vagamente, perché la sera del vostro terzo appuntamento avevate bevuto un po' troppo? Forse è la canzone con la quale ti ha chiesto di vivere assieme, a meno che non sia quella sulla quale ha finto di essere Babbo Natale, per compiacere il tuo assillante cuginetto.
Ma ho altre ipotesi. Potrei azzardare che tu stessi pensando proprio al cuginetto, peste malefica che tormenta la tua vita, la pulce che sopporti per arrotondare le spese. Quella formichina, alla quale non riesci a non voler bene tanto quanto lo odi profondamente, perché pensa che tu sia snodabile ed insensibile. Quel funghetto, che quando chiude gli occhi diventa improvvisamente una soffice nuvola azzurra, sollevata lievemente da un dolce respiro. Forse è partita sul tuo smartphone proprio la sua ninnananna preferita: per l'ennesima volta ti riprometti di creare una playlist per quando cammini per strada.
E se invece tu pensassi alla tua best friend? Da quanto tempo non la vedi, dannata distanza. Essere fuori sede concede indipendenza, ma a volte ti chiedi se i sacrifici valgano la candela. Quella che rappresenta la vostra amicizia, per fortuna, resiste alle intemperie: riesci a vederla, accesa su quel tavolo, a dividervi dall'all you can eat di sushi che scorre davanti a voi. Da mangiare con la forchetta ovviamente: siete pur sempre occidentali. 
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Photocredit: earlytorise.com
Ecco cosa ti aveva fatto sorridere! Era la canzone del ristorante, quella che sovrappensiero vi siete messe a canticchiare all'unisono. Oddio, canticchiare è un parolone: avete abbozzato due o tre termini in inglese maccheronico, senza centrarne uno. Il cantante apprezzerà lo sforzo, quando vedrà che le hai messo sotto l'albero proprio il suo disco, in versione platinum per giunta. 
Magari invece ti è saltato in testa quel cerebroleso di tuo fratello. Hai sorriso per non piangere, perché è partita una delle sue canzoni deep metal che ha forato il timpano da parte a parte, a tal punto che ora potresti farci passare le lucine natalizie e diventare l'albero della casa. Perché tale robaccia sia finita nel tuo lettore musicale, è un mistero.
Penso che avresti potuto ascoltare anche una canzone di quelle antiche, il caro vecchio swing che tua nonna tanto adorava, quello perfetto come sottofondo mentre cucinava mezzo "pacco di giù" in una sola portata. Quella canzone che mugugnava, insultando i dannatissimi inglesi che toglievano senso alla sua bella Italia, sebbene poi adorasse le loro canzoni. Quanti ricordi.
Oppure potrebbe essere l'artista tanto amato dalla tua mamma e dal tuo papà, quello che li ha visti danzare assieme al loro matrimonio. Lo sai perché sei riuscita a rubare il filmino di nascosto, istanti di amore rubati da un pessimo ed alticcio fotografo.
Perché non ci ho pensato prima? Potrebbe essere una nota vocale. Una barzelletta di quel tuo collega matto da legare, un commento sull'ultimo esame di quell'amica delle medie, l'ultimo gossip nato nel gruppo giovani della parrocchia.
O forse, forse... Sorridi e basta. Magari sorridi solo alla vita, e nelle cuffiette in realtà non scorre alcuna musica. Chi sono io per indovinare? 
Chissà. 
Ma grazie, per il tuo inaspettato sorriso, che riscalda questa gelida giornata.   

lunedì 1 maggio 2017

Piove

Era il Primo Maggio, la festa dei lavoratori, durante la quale tutti ormai lavoravano più degli altri giorni.
Anche gli autisti di linea lavoravano, Silvia lo sapeva, e per questo era uscita di casa puntuale, per prendere l'autobus delle quattro e quarantadue sulla strada più trafficata della città. Pioveva a dirotto, un dolce regalino di Giove Pluvio, dopo una mattina fin troppo solare per essere Aprile. Si sa, ad Aprile a quei tempi nevicava.
Silvia si strinse la borsa vicino, per non bagnare il libro di Ovidio che aveva intelligentemente messo nella tasca laterale. Neppure sapeva se l'avrebbe mai letto, intanto era lì ad attenderla.
Si avvicinò alla fermata. Tra la pioggia ed il fumo della sigaretta dell'uomo accanto a lei, riusciva ad intravedere qualcuno dei suoi compagni d'attesa: il fumatore picchiettava il piede sull'asfalto in modo nervoso, la ragazza vestita alla moda esponeva la propria chewing gum al pubblico, la signora vestita di rosa rabbrividiva senza darlo a vedere.
E poi lui. Un ragazzo semplice, con una pashmina, una ventina dell'Adidas e i pantaloni di tela col cavallo al ginocchio. Stava sotto un ombrello che sembrava più da spiaggia che da pioggia, malgrado avesse anche un cappellino da basket che non nascondeva i bruni capelli alla Goku. Era italiano, lo sapeva, lo aveva visto tante volte nel quartiere, eppure nei lineamenti tardiva un'origine orientale, forse filippina o koreana, vista la carnagione marcatamenre olivastra. Un tipo insomma.
Ma talentuoso.
Sulle orecchie aveva schiacciato due semplici pezzi di plastica nera, che aveva collegato al cellulare. Grazie a quelli creò la magia: si mosse, prima un braccio poi l'altro, poi una gamba e poi un'altra, inclinò la testa e spinse il bacino, come un cobra in mezzo a loro, i topini.
Sembrava che solo Silvia lo notasse. Guardò l'uomo, guardò la ragazza, ma caspita, solo lei vedeva quel prodigio? Evidentemente sì.
Il ragazzo continuò a danzare, ma senza farlo sul serio, solo slittando impercettibilmente i propri arti su una traiettoria invisibile; fu marionetta di se stesso per quella che a Silvia sembrò un'eternità, un tempo infinito che la librava verso un'altra dimensione. La musica che pompava nei suoi timpani lasciò il posto a quella che pulsava in quelli del ballerino, e sentì la sua stessa emozione, le parve che quei lievi movimenti fossero davvero un cocktail micidiale di genio e follia. Si lasciò trasportare dalla musica, che la rendeva tranquilla all'apparenza, scatenata nell'animo.
All'improvviso, l'ipnosi finì. Con soli quattro minuti di ritardo, l'autobus si presentò sulla banchina, sfiorando con un getto d'acqua la signora già fradicia. Il ragazzo si sporse per farsi notare. Salì.
Un giovane, sul mezzo, diradò la nebbia dal finestrino con un colpo di felpa.

venerdì 24 marzo 2017

Disagi

Salve compagni di viaggio,
Vi scrivo al volo per scusarmi con coloro che hanno attivato la notifica push via mail: stamane avrete probabilmente ricevuto qualche messaggio di troppo. Non ho scritto nuovi articoli (so che vi dispiace...), ma ho semplicemente sistemato le immagini che sono state eliminate dal nuovo protocollo sulla privacy di Blogger, ed ho sistemato anche due cosucce di grafica. Di conseguenza, alcuni articoli sembreranno pubblicati oggi, ma risalgono a mesi - se non anni - fa.
Ovviamente, è un'occasione per rileggerli! E se vi piacciono, commentate 👍
Vostra,
Silvia, timoniera del viaggio

giovedì 23 marzo 2017

La matita

A distanza di un mese esatto, cari amici, vi ri-scrivo. Sto migliorando: chissà che io non riesca a tornare ai bei vecchi tempi, quando vi scrivevo ogni giorno. Ma la vedo dura.
Oggi vi scrivo perché mi hanno regalato una matita.
Una matita, esattamente. Bruttina se vogliamo: è di circa cinque centimetri, millimetro più millimetro meno. Quanto tre tasti del computer insomma. Semplice nella foggia, è nera e gialla come l'Ape Maia - pardon, come le solite matite della Staedtler. Capisco dall'estremità verde che è parecchio dura, ancor prima di testarla sul foglio immacolato. Il verde, il giallo ed il nero stanno però lasciando spazio al beige chiazzato di grigio, nei punti dove ha cozzato con altra cancelleria, nell'astuccio del proprietario. La mina non è esattamente appuntita, da un lato è più aguzza e dall'altro meno, ma essendo circolare non saprei definire quale lato è più e quale meno. La scritta identificativa della marca è stata risucchiata dal fondo nero, ed è leggibile solo passandoci il dito come fosse Braille.
Uno semplicissimo, banalissimo mozzicone di matita.

Stamane sono uscita di casa di corsa, perché avevo troppe cose da fare ed un solo autobus all'ora che mi poteva condurre da loro. Davanti alla borsa, centinaia di oggetti che sarebbero dovuti essere lì dentro; quando ho preso in mano l'astuccio, mi son detta "Tanto oggi usi il pc".
Inutile dirlo, quando ho avuto 10 minuti di quiete, ho tirato fuori le carte stampate da studiare. Ma non avevo una matita.
Ho cercato in fondo alla borsa, se per caso, come era mia abitudine, per pigrizia ne avessi gettato una alla rinfusa invece di rimetterla al suo posto. Credo sia stata l'unica volta in vita mia che ho maledetto la mia momentanea meticolosità.
Disperata, ho valutato le opzioni.
Potevo sottolineare sul documento al pc. E rifare tutto il lavoro su carta, in un secondo momento? Anche no.
Potevo sottolineare a penna. E se dovessi cancellare, sbagliare, urtare per sbaglio il braccio e fare una riga irreparabile su tutto il foglio?
Potevo rinunciare a studiare e mangiare qualcosa prima di pranzo. Proposito errato.
Non rimaneva altro che una sola cosa da fare.

Accanto a me era seduto un ragazzo . L'avevo notato perché aveva degli evidenziatori bellissimi - un po' opachi, non troppo sfavillanti. Una di quelle cose inutili che quando vedi per strada urli al tuo amico "LO VOGLIO!", e quest'ultimo finge di non conoscerti. Insomma, c'era questo ragazzo. Stava studiando: in università non si va certo per oziare. E la sottoscritta, da brava rompiballe, ha alzato il real ditino e ha fatto knock knock sulla sua spalla.
Lui, nemmeno più di tanto infastidito - come sarei stata io al suo posto - si è voltato verso di me. 
- Scusa - gli ho chiesto con sommo imbarazzo. - Non è che avresti una matita che ti avanza? L'ho dimenticata a casa. - Mezza verità, ma sarebbe stato troppo lungo dire Sai, sono cretina e non pensavo di dover studiare, ed ora valutando le ipotesi è più facile rompere a te!
Il ragazzo dagli evidenziatori stupendi mi sorride. - Ecco. - Estrae un matitino nascosto da uno dei pennarelli fluorescenti, piccolino in mezzo ai giganti colorati. 
- Grazie mille. -
Lo lascio lì dov'è, mentre estraggo le carte funeste. Nel frattempo, con la cosa dell'occhio noto che sta frugando in un astuccio grigio scuro. Prende il matitino di prima, poco affilato, e lo sostituisce con un altro, più appuntito. - Meglio - mugola tra sé e sé, soddisfatto dall'azione.

Passano i minuti: ho improvvisato un righello con un vecchio volantino sulla Festa della Donna, e leggo con interesse velato dalla stanchezza il mio saggetto sullo Stilnovo. Accanto a me il ragazzo si sta muovendo: penso che stia andando a prendere un caffè, ma quando mi giro ha già impacchettato baracca e burattini, evidenziatori compresi.
Gli porgo la matita con un cenno del capo.
- No, no, tienila - mi dice.
Sono confusa. - Ma no, ti prego, riprendila: è tua! -
- Tranquilla, studia! - sorride e si alza.
- Ma è solo una matita... - Sto per aggiungere "potrebbe servirti!", quando lui inizia ad andarsene, lasciando nell'aria un - Appunto! - finale.
Rimango lì, con la matita in mano, un po' sorpresa ed un po' divertita. Ancora c'è gente buona al mondo.
Finito il saggio, inizio a scrivere di lui, e di come non so chi sia, non so se lo rivedrò per ridargli la matita - l'università è grande -, non so se gli servirà in futuro più di quanto è servita a me, ma so che ho apprezzato il suo gesto.
Perché (preparatevi al finale moraleggiante...)
...la vita è un viaggio, e per superare gli ostacoli servono anche i tanti, piccoli aiuti.
Colei che spera di essere vostra compagna, in questo iter,
Silvia

venerdì 24 febbraio 2017

20 (dannatissimi) anni

Silvia non riusciva a prendere sonno.
Si rigirava sotto le coperte da almeno mezz’ora, fissando il sacchetto di cellophane attaccato al soffitto, che racchiudeva il suo porta cartoline. Da tre giorni si riprometteva di toglierlo, oramai aveva pulito tutta la camera, ma alla fine la pigrizia ha sempre la meglio.
Provava a mettersi di pancia, peggiorando solo la situazione. Aveva fame, ma era mezzanotte e 43 minuti. Mangiare in quel momento avrebbe significato mandare a puttane tutta la dieta. Ma lei non era a dieta. Ma non è comunque corretto.
Si rigirò su un fianco, strinse il suo pupazzo al petto. Sospirò. Troppi pensieri affollavano la sua zucca. Nelle nottate come questa, non c’è scusa che tenga: doveva far ordine. Ma stavolta non sarebbe bastato un post-it. Si conosceva abbastanza. La soluzione era una sola.
Accese l’abat-jour, maledicendosi mentalmente. Perché aveva messo la crema sulle mani? Ah, perché avrebbe dovuto dormire. Non si piange sul latte versato, Silvia, si ricordò.
Scalciò il piumone – o è una trapunta? Boh, sticazzi, si disse – da quando sei così volgare?, aggiunse – da quando passi ore a parlare con te stessa?, incalzò – oh, fanculo. Si diceva… ah, si, scalciò quel coso che la stava coprendo dal collo in giù, e pose i piedi sul pavimento. Zampettò fino alla scrivania, prese il pc. Poi il tavolino portatile da letto dell’Ikea. Infine, si rimise sotto le coperte, alla tastiera. Ed ordinò la sua mente.

Sono passati vent’anni esatti, ora più ora meno, dalla mia nascita. Wao. Fa effetto.
Da piccola ho sempre pensato che a 24 anni mi sarei sposata ed avrei avuto figli – forse perché sono nata il 24 febbraio, e da allora il numero 24 mi piace. Pensavo anche che avrei già avuto successo, e che non sarei stata ancora qui. In effetti, ancora non ho 24 anni. Ma ci vado pericolosamente vicino.
Comunque, quando hai 19 anni è comodo spacciarti per 17enne. Basta cancellare mezzo cerchio al nove e puff!, diviene un 7 scritto da bambino di seconda elementare. Poco male, rapido ed indolore.
Ma venti… Oh diamine (si, sono tornata raffinata), 20 come lo modifichi?!? Non si può! Venti rimane venti, comunque lo rigiri.
Improvvisamente, mentre mi rigiro nel letto (vedi sopra), comprendo sempre più che i miei sogni d’infanzia sono andati infranti. Sognavo d’essere in un’altra città – e invece no, ciao amati monti! -, sognavo di essere una delle più giovani scrittrici italiane – e invece non aggiorno nemmeno il mio blog per mancanza di tempo -, sognavo di leggere almeno 50 romanzi all’anno – ed invece col passare del tempo il numero si è drasticamente ridotto.
Sognavo però anche di essere circondata dalla mia famiglia, da una migliore amica e da un ragazzo, ed almeno questo l’ho ottenuto, grazie Karma. Occidentale od orientale che tu sia.
Ed ora eccomi, torno a fissare quel sacchetto sul soffitto. Dovrei proprio toglierlo, ma che noia, se poi devo spolverare tutto il lampadario? Anche no… (si mamma, se stai leggendo, non l’ho ancora fatto. Visto che vuoi ricordarmi la mia vecchiaia, però, ricordati anche che a 20 anni ho diritto ad avere un sacchetto di cellophane sul soffitto anche io. È arte contemporanea.)
Penso a domani. E mi vien male.
Perché più tempo passa, peggio è. Si diventa falsi con l’età: e così sorriderò ed abbraccerò persone che in realtà non vorrò vedere, risponderò con cuori a whatsappate e facebookkate che m’intaseranno il cellulare, ringrazierò per regali che, appena avrò visto, finiranno sulla lista di cose da “rivendere tra 20 anni, quando si saranno dimenticati di avermelo regalato”. Guai a fare il contrario: l’equilibrio mondiale ne risentirebbe. Ma questa cosa mi rode proprio il fegato, perché io falsa non so essere, piuttosto pecco d’omissione, perché “Silvia taci che è meglio”. Qui almeno posso sfogarmi, questo spazio è mio e posso dire (quasi) ciò che voglio.
I regali. I saluti. Gli auguri.
Cazzo che ansia ragazzi. (Torno volgare).
Siiii, lo soooo, sono parecchio ingrata, ci sono bambini che non hanno tutto ciò etc. etc. Però io lo vivo male. Ed ogni anno è sempre più veloce, e mi viene da andare al bagno e rimettere anche l’anima se penso a quante cose avrei voluto fare e anche quest’anno non ho fatto.
In primis scrivere di più.
Ed ecco perché sono qui.
Non so se questo blog ha molto senso. In fondo siamo quattro gatti a leggerlo. Mi fa sempre piacere scoprire che da qualche parte c’è un quinto – ogni tanto esce allo scoperto, fa le fusa, poi scompare – ma è un po’ pochino. Io ho manie di grandezza e protagonismo, sapete? Anche se alla fine l’amata umiltà fotte tutti, perché manco io riesco ad essere al centro dell’attenzione come vorrei. È un gatto che si morde la coda, il mio lettore tipo. Sì, gatto, non cane: perché è snob, ma se vuole sa ammaliare anche lui.
Quindi, eccoci qui. Mi sono fatta un regalo: 20 minuti di scrittura, uno per ogni anno mandato a quel paese dal 1997 ad oggi. Non so se realizzerò un nuovo sogno quest’anno, o se ne creerò di nuovi, meno utopici. Non so se sarà meglio o peggio del precedente, non so proprio niente. In un anno la vita viene stravolta, e se penso a dove ero un anno fa, a cosa facevo… Torno al water a rimettere. Va oltre ogni mia immaginazione.
Bene, mi sono svuotata. Buon compleanno Silvia: ti auguro che questa giornata finisca al più presto, e che le persone false non scoprano dove sei per tutto il giorno, cosicché tu possa cavartela con un sms. Ma ti auguro anche che le persone alle quali tieni spuntano dalla porta sul retro, e festeggino con te.
Ti voglio bene, sotto sotto.
Te stessa.


PS: googlando “20 anni”, il primo risultato è “In carcere per un'intercettazione fraintesa, assolto e libero dopo 20 anni”. Non male come inizio. 
PS'': Mi sarei dovuta comprare questa.