lunedì 1 maggio 2017

Piove

Era il Primo Maggio, la festa dei lavoratori, durante la quale tutti ormai lavoravano più degli altri giorni.
Anche gli autisti di linea lavoravano, Silvia lo sapeva, e per questo era uscita di casa puntuale, per prendere l'autobus delle quattro e quarantadue sulla strada più trafficata della città. Pioveva a dirotto, un dolce regalino di Giove Pluvio, dopo una mattina fin troppo solare per essere Aprile. Si sa, ad Aprile a quei tempi nevicava.
Silvia si strinse la borsa vicino, per non bagnare il libro di Ovidio che aveva intelligentemente messo nella tasca laterale. Neppure sapeva se l'avrebbe mai letto, intanto era lì ad attenderla.
Si avvicinò alla fermata. Tra la pioggia ed il fumo della sigaretta dell'uomo accanto a lei, riusciva ad intravedere qualcuno dei suoi compagni d'attesa: il fumatore picchiettava il piede sull'asfalto in modo nervoso, la ragazza vestita alla moda esponeva la propria chewing gum al pubblico, la signora vestita di rosa rabbrividiva senza darlo a vedere.
E poi lui. Un ragazzo semplice, con una pashmina, una ventina dell'Adidas e i pantaloni di tela col cavallo al ginocchio. Stava sotto un ombrello che sembrava più da spiaggia che da pioggia, malgrado avesse anche un cappellino da basket che non nascondeva i bruni capelli alla Goku. Era italiano, lo sapeva, lo aveva visto tante volte nel quartiere, eppure nei lineamenti tardiva un'origine orientale, forse filippina o koreana, vista la carnagione marcatamenre olivastra. Un tipo insomma.
Ma talentuoso.
Sulle orecchie aveva schiacciato due semplici pezzi di plastica nera, che aveva collegato al cellulare. Grazie a quelli creò la magia: si mosse, prima un braccio poi l'altro, poi una gamba e poi un'altra, inclinò la testa e spinse il bacino, come un cobra in mezzo a loro, i topini.
Sembrava che solo Silvia lo notasse. Guardò l'uomo, guardò la ragazza, ma caspita, solo lei vedeva quel prodigio? Evidentemente sì.
Il ragazzo continuò a danzare, ma senza farlo sul serio, solo slittando impercettibilmente i propri arti su una traiettoria invisibile; fu marionetta di se stesso per quella che a Silvia sembrò un'eternità, un tempo infinito che la librava verso un'altra dimensione. La musica che pompava nei suoi timpani lasciò il posto a quella che pulsava in quelli del ballerino, e sentì la sua stessa emozione, le parve che quei lievi movimenti fossero davvero un cocktail micidiale di genio e follia. Si lasciò trasportare dalla musica, che la rendeva tranquilla all'apparenza, scatenata nell'animo.
All'improvviso, l'ipnosi finì. Con soli quattro minuti di ritardo, l'autobus si presentò sulla banchina, sfiorando con un getto d'acqua la signora già fradicia. Il ragazzo si sporse per farsi notare. Salì.
Un giovane, sul mezzo, diradò la nebbia dal finestrino con un colpo di felpa.